14 Marzo 2020

In questo periodo di sospensione di eventi, incontri, concerti, spettacoli, mostre – tutto quanto rientra nella parola “cultura” – possiamo riscoprire quale sia il vero significato di questo termine.
Emergerà che, proprio riscoprendone il vero significato, sapremo generare un uomo, sapremo generare un popolo.
Verrà attenuato, allora, anche lo stridore tra la bellezza di un’opera d’arte, di un canto, di una poesia e la drammaticità che stiamo vivendo. La drammaticità, soprattutto, di coloro che oggi sono nel dolore per la malattia personale e/o per la morte dei propri cari.
Vogliamo iniziare con le parole di Giovanni Testori, che abbiamo scelto per il quarantesimo del nostro Centro culturale:
«La vera cultura è lo sforzo, la fatica, la rivoluzione di tutte le mattine, il che significa la riscoperta del proprio rapporto con Cristo, con Dio e, quindi, con gli uomini».
Direttivo Centro culturale Paolo VI, 14 marzo 2020

Giovanni Testori – Incontro inaugurale del Centro culturale Paolo VI, 6 maggio 1980
«Crediamo, per assuefazione, che cultura sia fare scienza e che il resto dell’umanità sia soltanto chiamato a partecipare a questa esperienza, a ciò che una élite di privilegiati pensa e scopre nella vita dell’uomo».
A tale concezione, Giovanni Testori, nel primo incontro del Centro culturale Paolo VI, oppose una cultura «legata, come nascita, arrivo, recezione e, quindi, sviluppo, all’uomo, a tutti gli uomini e a ciascun uomo. Si fa cultura in ogni modo. La cultura è una forma costante. Ed il culmine, la fioritura massima della cultura diventa quasi un rito. La vita diventa testimonianza di sé negli altri, della verità religiosa che ogni uomo porta dentro di sé in quanto figlio di Dio, è la forma dell’amore che l’uomo ha in mezzo agli altri uomini».
E ancora. «La vera cultura è lo sforzo, la fatica, la rivoluzione di tutte le mattine, il che significa la riscoperta del proprio rapporto con Cristo, con Dio e, quindi, con gli uomini. La cultura ufficiale snobbi pure questa cultura, la giudichi pure riduttivamente con i doxa, con le statistiche.
Ma la vera rivoluzione si fa ogni giorno in questo riconoscersi figli del Padre. Questo conferirà, alla lunga, un senso reale anche alla storia, alla giustizia sociale, alla legge, impedendo loro di trasformarsi nel contrario di quello che vogliono essere».

Chiaro anche il giudizio di Testori sul rapporto tra fede e cultura: «A volte sentiamo una divisione tra atti della cultura e della fede, e ciò accade perché in noi c’è ancora un margine di fuga dalla fede stessa. È quindi una “non totalità” d’abbandono in questo incontro con Cristo che ci rende separati dagli atti della vita. Una parte della nostra vita è così sospinta verso una forma di cultura laica, mondana, materialista. Accade ciò perché noi cristiani ci abbandoniamo poco, abbiamo delle riserve. Ma l’abbandono in Cristo non è irresponsabile, bensì di coscienza piena. Dobbiamo provare a concederci a Dio, alla Grazia, al Padre, a Cristo. Dobbiamo imparare a leggere i segni della vita: tutto, anche la fatica, rende felici. Se non sappiamo cogliere i segni che il Signore ci manda, ci depauperiamo e depauperiamo a nostra volta la creazione. La pazzia dei santi sta proprio in questo essere aperti, in questa continua novità, reinvenzione quotidiana della vita».

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